Ti ricordi quando giocavamo insieme tutti i giorni, da
piccoli?
Tutti i giorni
uscivo di casa il pomeriggio presto, e venivo a suonare il tuo campanello.
Mi bastava attraversare la strada, ed ero da te.
Poi uscivamo insieme, e passavamo le ore
sull’asfalto fumoso e rovente, a correre a piedi o in bicicletta,
sull’altalena del parco delle meraviglie dietro casa tua, a canticchiare parole inventate che solo noi potevamo capire,
sul nostro invisibile tappeto volante, a esplorare il mondo e la vita, oltre le colonne d’Ercole delle nostre piccole stanze.
sull’asfalto fumoso e rovente, a correre a piedi o in bicicletta,
sull’altalena del parco delle meraviglie dietro casa tua, a canticchiare parole inventate che solo noi potevamo capire,
sul nostro invisibile tappeto volante, a esplorare il mondo e la vita, oltre le colonne d’Ercole delle nostre piccole stanze.
Mi basterebbe attraversare la strada, e sarei da te.
E invece, questo muro invisibile si è innalzato col passare del tempo, e nessuno di noi due ha il coraggio di buttarlo giù.
Il rotolo dei nostri anni si è dispiegato così in fretta che non so nemmeno se ci
riconosceremmo più.
Rimaniamo legati al ricordo liquefatto di quei due bambini, che certamente esistono ancora, ma nascosti dietro a tante e
tante mura, erette a difesa della nostra fortezza di cemento e cartapesta.
Domani pomeriggio, dopo i compiti, indosserò i guanti e il
berretto, e andrò a suonare il campanello di casa di Luca.
Lui chiuderà il quaderno e l’astuccio, verrà ad aprirmi e, senza stupirsi, come sapendo che non potevo che essere io, mi guarderà dritto negli occhi e mi sorriderà.
Lui chiuderà il quaderno e l’astuccio, verrà ad aprirmi e, senza stupirsi, come sapendo che non potevo che essere io, mi guarderà dritto negli occhi e mi sorriderà.
Ci sorrideremo, e ci scambieremo un lungo, lunghissimo abbraccio.
Lui riprenderà in mano il suo Gameboy grigio, riposto in un
cassetto sotto ai fumetti di Topolino e alle videocassette Disney, e ci
metteremo a giocare ai Pokemon.
Poi inventeremo storie bellissime, come questa, e rideremo
in un modo che pensavamo di aver dimenticato.
Andremo a goderci il tramonto nel parchetto delle
meraviglie, senza Jimmy (il cane più stanco del mondo), che una volta ci
seguiva, col suo passo lento ma scodinzolante, e aveva stampato sul muso il
nostro stesso sorriso.
E ripenseremo a quando davanti casa tua, a fianco della mia,
al posto della villa con le palme c’era la stazione dei pulmini, sì, quelli
piccoli e gialli che sembravano usciti da un cartone animato…Una mattina,
mentre aspettavamo seduti sulla panchina di legno il pulmino che ci avrebbe
portati a scuola, tu mi chiedesti se volevo sposarti, e io ti risposi di sì.
Chi sei ora? Ci pensi mai a me?
Tutti questi anni ci hanno complicato la vita e il
carattere, e ognuno di noi si è costruito le proprie sovrastrutture,
imprigionando quel mini Uomo puro e originario che una volta ci rendeva uguali.
Una volta eravamo la stessa persona, gli stessi piccoli e identici esemplari di
Uomo, e non c’era bisogno di parlare per capirsi, perché parlavamo la stessa
lingua, quella degli occhi che non pensano, perché sono troppo intenti a
scoprire il mondo.
Ora abbiamo scoperto troppo (anche se non ci sembra mai
abbastanza), e del mondo abbiamo paura. Allora ci tappiamo gli occhi, e
pensiamo sia meglio fingere di essere ciechi. Fingiamo così tanto, che finiamo
per convincercene sul serio. Finiamo per dimenticare che c’è una benda davanti
al nostro sguardo, che ci impedisce di Vedere.
Se esiste un Dio, è qualcuno che non conosce Dolore, perché
il dolore si sopporta meglio bendandolo, altrimenti ti può accecare.
Anche Amore è cieco. Quando l’uomo toglie le bende dai suoi
occhi, si accorge che Amore e Dolore si sovrappongono, e sono alla fine dei
conti la stessa cosa.
Se esiste un Dio, è Amore puro e illimitato, è un Occhio che
vede tutto e può guardare la luce, ovvero se stesso, senza rimanere cieco.
Dio è quell’amore a cui tendiamo e che mai avremo.