Impossibile fermare le onde: infinitamente si dondolano sospirano viaggiano corrono urlano.
Impossibile vivere il momento, semplicemente perché il momento non esiste: ogni attimo include quello passato e quello che verrà appena dopo.
Come onde viviamo in un flusso continuo: si vive NEL moVImento.
Non siamo eterni, però siamo fatti di eternità.
La stessa eternità di cui sono fatte le parole, le immagini, la musica.

 


La poesia non è qualcosa
da definire o giudicare.

In tutto e per tutto, la poesia è
un'esigenza, una terapia
o un ardore nello scrutare il mondo.

La poesia elitaria non l'ho mai capita,
per me la poesia è di tutti.

È in tutti, la poesia.
È un viene da sé, 
e d'improvviso il saper fare diviene castrante.
Se ti apri, come terreno fertile,
le parole germogliano, generose.

È in tutto, la poesia.
Si fa strada tra rugiada, 
lacrime e occhi di bambino
e lascia dietro di sé scie 
di profumi antichi
che s'impregnano addosso.
La scovi nell'incedere incessante di attimi
viventi che si ammassano,
nelle istantanee di paesaggi interiori
che l'anima scatta e ripone via,
nel gusto per le cose belle,
ma anche per quelle brutte.

Ci vuole gusto anche per le cose brutte,
nello scegliere quali portare con sé,
e quali lasciar andare.

La poesia è meditazione pura,
vita che rimane
ammutolita
a forza di contemplarsi.

La poesia si nutre di silenzi
per parlare dritto al cuore.


Pensieri da una quarantena (passata?)





La quarantena si mangia giorno dopo giorno, e il giorno si mangia me, che mi ritrovo qui, tra le mura e il cortile di casa, senza sapere più a che punto di questo surreale banchetto siamo giunti.
Forse questo è solo il nostro purgatorio, rifletto, il nostro tempo per guardare in faccia i nostri peccati, dare loro un nome.
Un tempo grigio, senza forma, eppure inondato di sole. Un tempo sospeso, messo tra parentesi.
Un orologio fermo per tutti, ma che ognuno ricalibra a suo modo, coi suoi tempi.
Un limbo, che ci obbliga in uno spazio angusto, con la sola compagnia di uno specchio. Barriere fisiche, non mentali: senza ostacoli che limitano la visuale di noi stessi, facciamo i conti con le angolazioni mostruose dell’immagine che abbiamo davanti – delle parti di essa che rifiutiamo di guardare.

Ma l’erba brilla al sole, e il prato è pieno di margherite.
Un’orchestra di voci di uccelli ricopre il vuoto latente di questa prigionia forzata e la poesia si sbriciola come sabbia nell’aria.
Via le maschere, via i veli morbosi che falsano – soffocandole – le nostre esistenze.
Mi riscopro – ci riscopriamo – nella nudità che sola ci appartiene.
Recito mantra inconsapevoli, mentre ballo sospinta da una forza ancestrale.
La musica dilaga dalle finestre, le anime, a distanza ma vicine, si incontrano in rituali dimenticati.
Sogno scene di una vita passata, l’infanzia mi chiama dalla cera di un altro tempo, e la memoria la immerge in un’atmosfera visionaria e idilliaca.
Chiudo gli occhi e mi ritrovo a correre tra le spighe di grano e i girasoli.
Arrivo, stremata, fino in fondo alla valle, mia culla prediletta tra le onde degli alberi, in un mare di colline.
Il castello di Monsano troneggia in alto, lontano, maestoso e minuscolo nella sua immobilità.

– “Quando ti viene una nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia." Allora don Rafaniè, le volte che mi viene il pensiero di una mancanza la devo chiamare presenza? “Giusto, così a ogni mancanza dai il benvenuto, le fai un’accoglienza.” –

Riapro gli occhi e penso che mi manca casa. Ma casa è anche il nostro corpo, e allora penso pure a quanto è bello amare questo corpo che ci dimora, celebrare noi stessi in questo gioco senza regole e senza premio, in questa giostra che gira all'impazzata, prenderci cura del nostro giardino interiore, farlo crescere e germogliare dopo ogni inverno.
Mi sorrido, con la paura dell’impermanenza sempre addosso, ma anche lei è dono, è sentire, è sorpresa. È sorprendersi allo specchio quando meno te l’aspetti, mentre sei intento a fare altro.