Impossibile fermare le onde: infinitamente si dondolano sospirano viaggiano corrono urlano.
Impossibile vivere il momento, semplicemente perché il momento non esiste: ogni attimo include quello passato e quello che verrà appena dopo.
Come onde viviamo in un flusso continuo: si vive NEL moVImento.
Non siamo eterni, però siamo fatti di eternità.
La stessa eternità di cui sono fatte le parole, le immagini, la musica.

Pensieri da una quarantena (passata?)





La quarantena si mangia giorno dopo giorno, e il giorno si mangia me, che mi ritrovo qui, tra le mura e il cortile di casa, senza sapere più a che punto di questo surreale banchetto siamo giunti.
Forse questo è solo il nostro purgatorio, rifletto, il nostro tempo per guardare in faccia i nostri peccati, dare loro un nome.
Un tempo grigio, senza forma, eppure inondato di sole. Un tempo sospeso, messo tra parentesi.
Un orologio fermo per tutti, ma che ognuno ricalibra a suo modo, coi suoi tempi.
Un limbo, che ci obbliga in uno spazio angusto, con la sola compagnia di uno specchio. Barriere fisiche, non mentali: senza ostacoli che limitano la visuale di noi stessi, facciamo i conti con le angolazioni mostruose dell’immagine che abbiamo davanti – delle parti di essa che rifiutiamo di guardare.

Ma l’erba brilla al sole, e il prato è pieno di margherite.
Un’orchestra di voci di uccelli ricopre il vuoto latente di questa prigionia forzata e la poesia si sbriciola come sabbia nell’aria.
Via le maschere, via i veli morbosi che falsano – soffocandole – le nostre esistenze.
Mi riscopro – ci riscopriamo – nella nudità che sola ci appartiene.
Recito mantra inconsapevoli, mentre ballo sospinta da una forza ancestrale.
La musica dilaga dalle finestre, le anime, a distanza ma vicine, si incontrano in rituali dimenticati.
Sogno scene di una vita passata, l’infanzia mi chiama dalla cera di un altro tempo, e la memoria la immerge in un’atmosfera visionaria e idilliaca.
Chiudo gli occhi e mi ritrovo a correre tra le spighe di grano e i girasoli.
Arrivo, stremata, fino in fondo alla valle, mia culla prediletta tra le onde degli alberi, in un mare di colline.
Il castello di Monsano troneggia in alto, lontano, maestoso e minuscolo nella sua immobilità.

– “Quando ti viene una nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia." Allora don Rafaniè, le volte che mi viene il pensiero di una mancanza la devo chiamare presenza? “Giusto, così a ogni mancanza dai il benvenuto, le fai un’accoglienza.” –

Riapro gli occhi e penso che mi manca casa. Ma casa è anche il nostro corpo, e allora penso pure a quanto è bello amare questo corpo che ci dimora, celebrare noi stessi in questo gioco senza regole e senza premio, in questa giostra che gira all'impazzata, prenderci cura del nostro giardino interiore, farlo crescere e germogliare dopo ogni inverno.
Mi sorrido, con la paura dell’impermanenza sempre addosso, ma anche lei è dono, è sentire, è sorpresa. È sorprendersi allo specchio quando meno te l’aspetti, mentre sei intento a fare altro.