Così lo sfogo in incubi.
Tempesta onnidistruttrice.
La osservo dalla finestra della camera,
di questo angusto rifugio che mi ha conosciuta ventiquattro anni fa.
Acqua non cade,
ma fango e cenere.
Melma grigio-marrone che soffoca ogni cosa,
alberi che rantolano prima di essere sommersi dalle sabbie mobili.
Cielo furente, all'apice del suo folle delirio,
si contorce nella lotta contro se stesso,
nella dissociazione in due opposti che non si attraggono:
a ovest, il nero infernale si espande come una pestilenza.
Ma una luce, ad est...
Un sole che emana il candore della luna,
così vivo da chiamarmi
("Io resisto, e urlo, e mi sacrifico per te...").
I suoi raggi mi accecano,
lottano contro il mondo vestito a lutto.
Una pioggia scrosciante ora cade,
finalmente di acqua vergine,
e lava via lo sporco.
Ma anche lei si fa guerresca, surreale,
raffica mortalmente un lembo di terra,
e poi, spostandosi come la coda di un drago,
crepa il terreno,
dal quale escono rivoli di sangue violaceo,
che, come fiumi infernali,
si riversano sul mondo ormai a pezzi.
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