Nel mio sonno affannoso, anche una casa in campagna può trasformarsi in incubo. Anche una casa conosciuta e amata.
Vado a trovare il signor G.
E c'è anche un altro, un certo Nonsochi.
Nel cortile due cani, non da caccia,
ma a caccia di uomini.
Pitbull, pitturati a macchie,
belli, assetati di sangue,
possibilmente umano.
Legati a catenacci, bavosi e urlanti,
smaniosi di avventarsi sulla nuova arrivata.
Il signor G. ha perso il suo sguardo di contadino.
Si apre ora ad un sorriso ambiguo,
luccicante di perversione,
sottostante a due occhi nero-maligni.
Entro nel cortile, ma terrorizzata da quella doppia ira bestiale, che sembra essere sul punto di liberarsi, chiedo se posso stare tranquilla. A risposta affermativa, la mia ansia si placa.
Saliamo in casa. Per un qualche sconosciuto motivo mi sdraio su un letto.
Qualcosa di strano è nell'aria,
un po' come il silenzio che precede la battaglia.
Sento già ciò che sta per succedere,
e la mia mente già pensa al perché si è fidata,
“non fidarti, non fidarti mai di nessuno”, mi ricorda.
Ecco la bestia delirante,
che incontro mi corre come in un rapsus.
E sopra a me, ora,
il suo muso, a qualche centimetro dalla mia faccia.
Maschera di follia,
tante lame aguzze e orbite cerchiate di inferno,
latrati di mostro
e poi nulla più ancora.
Solo un'immagine semiconscia mi galleggia in testa:
le mie mani maciullate,
l'espressione non più razionale,
che implora l'aiuto di un amico.
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